Eros e Porno
Eros e Porno
di Elisa Cuter
BENVENUTƏ all’interno della pagina dedicata all’Esposizione
PREPORNO: Erotismo Queer, tra fine XIX secolo e il 1969,
che potrete visitare dal 23 marzo al 19 aprile
presso RADIO AUT, Via Faruffini 4, PAVIA.
Potrete qui leggere il testo scritto da Elisa Cuter, redatto per approfondire il percorso tracciato dalla mostra e dal materiale che troverete in esposizione.QUI la pagina dell’esposizione:
https://womedizioni.it/preporno/
Sempre più spesso oggi si parla di “pornificazione” della società e dell’immaginario collettivo, legata soprattutto alla società dello spettacolo, vale a dire a un sistema mediatico costretto a spostare sempre più in là l’asticella dell’accettabile, al fine di ottenere una qualsiasi visibilità o, come si dice in rete, il famigerato “click bait”. Per evitare le derive complottistiche e neo-oscurantiste che questo dibattito suscita, vale la pena riflettere sul rapporto profondo e ineludibile che esiste tra il modo di produzione in cui viviamo e il medium (o i media) che questo ha eletto a sua forma di rappresentazione principale: quello audiovisivo, o, più precisamente, quello dell’immagine in movimento.
Il cinema è per sua natura pornografico. Il sesso è da sempre concrezione tangibile e inevitabile dell’esperienza cinematografica tutta, basata infatti sul desiderio erotico di vedere. Era proprio la pulsione scopica a spingere ancora ai tempi del pre-cinema lo spettatore ad avvicinarsi ai binocoli degli stereoscopi (non a caso spesso raffiguranti interni con donnine discinte). L’intima connessione che esiste tra piacere e atto del vedere è legata infatti a quella che in tedesco si chiama Schaulust, in altre parole il voyeurismo, che secondo la psicoanalisi è una delle prime forme di godimento per l’essere umano. Ma questo desiderio voyeuristico, scrive Gertrud Koch in Schattenreich der Körper: Zum pornographischen Film (1981)1, non è un fenomeno banalmente primordiale e universale: come tutti i desideri umani, che non nascono nel vuoto ma vengono da subito informati dalla realtà sociale in cui si sviluppano, il voyeurismo è una forma di percezione e di sentire indotto e strutturato secondo un processo di razionalizzazione dell’esperienza, che dipende fortemente dalla necessità di una stretta organizzazione sociale. E la nostra struttura sociale, come ha dimostrato Foucault, si basa sul paradigma del panopticon, sull’utilizzo della visione come modello dell’organizzazione. Theodor Adorno e Hans Eisler in Komposition für den Film (1969)2 individuano nell’occhio e nel primato che esso ha assunto nella cultura occidentale la necessità di basarsi su un organo attivo, che richieda immediatamente un’organizzazione costante delle informazioni ricevute (come dimostra eminentemente il cinema nella sua selezione dello spazio inquadrato, e nella focalizzazione di un primo piano e di uno sfondo), diversamente ad esempio dall’orecchio, che non si può chiudere o aprire, ed è per sua natura più passivo e vago. L’occhio separa, organizza, e non è casuale che esso si imponga sugli altri sensi proprio in concomitanza della divisione del lavoro che avviene in fabbrica. Il principio taylorista della categorizzazione sistematica del processo produttivo, attraverso la catena di montaggio, coincide proprio con la prima fase di esplosione pubblica della pornografia in epoca vittoriana. Sempre secondo Koch questo successo non andrebbe legato al puritanesimo dell’epoca e a una reazione alla conseguente repressione, quanto piuttosto proprio a questa modernizzazione che si basava e allo stesso tempo intensificava il primato dell’occhio, rispecchiando la progressiva parcellizzazione del corpo umano, che diventava meccanismo intercambiabile all’interno della macchina produttiva. Addestrare l’occhio significava adattarsi socialmente alla modernizzazione della produzione. Questo si sarebbe riflettuto anche nella pratica sessuale, contribuendo all’espansione del voyeurismo.
Nella nostra epoca post-fordista segnata dall’individualismo, la separazione portata avanti dal sistema capitalistico continua a influenzare la fruizione della pornografia. Spariti i cinema a luci rosse, sempre più rara la scena di sesso nel cinema hollywoodiano, l’eccitazione sessuale viene esperita quasi esclusivamente in privato, dove tutto è permesso a patto che avvenga dietro la porta di casa, o, a maggior ragione, dietro allo schermo del personal computer. Come ha osservato giustamente Federico Zappino in Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo (2016)3, nel regime neoliberale i processi di secolarizzazione e neofondamentalismo che vanno affermandosi in parallelo sono entrambi basati su una retorica pubblica che si concentra sui concetti di soggetto e natura. Se il secondo fa leva sulla natura per ratificare il binarismo e l’eternormatività, il primo fa appello al soggetto in quanto portatore di diritti inalienabili riguardo alla differenza di orientamenti e gusti sessuali. In entrambi i casi, però il soggetto viene concepito come statico e isolato, da cui consegue un re-incantamento della sfera privata. La separazione tra pubblico e privato è risignificata cioè dalle modificazioni materiali della società neoliberale. Confrontarsi con il proprio desiderio attraverso la pornografia on line vuol dire farlo in una sfera di non-incontro con l’altro. Il diritto a usufruire di pornografia che rispecchi il nostro desiderio è garantito, e perciò non si scontra mai con la realtà del conflitto di interessi su cui si basa il processo storico e la prassi democratica. Ancora, il concetto della separazione si ritrova nella segmentazione dell’offerta che il mercato pornografico propone: tag, labels, categorie, eccetera, incasellano il fruitore in un target di mercato identitario, quando non dissezionano il desiderio in una serie di prodotti (ruoli, pratiche, dettagli, attori, feticci) à la carte: a ognuno secondo il proprio gusto, da ognuno secondo le sue disponibilità (economiche).
Oscar WildeTelenyLa separazione evidenziata come tendenza intrinseca al capitale e alla pornografia da esso prodotta, inizia con l’atto del vedere, che separa il soggetto osservante dal suo oggetto, proprio come nel panopticon. Ma se il panopticon si basa sul principio della reciproca visibilità, la pornografia ci dice anche qualcos’altro. Il piacere ricavato dal voyeursimo, lo dimostra soprattutto la sua ultima incarnazione digitale, si basa sull’esperienza dell’osservare senza essere visti. In tutto il cinema esiste questa più o meno consapevole volontà del soggetto a scomparire, lo dimostra anche Sigfried Kracauer nella sua Teoria del film (1962)4, in cui sostiene che la possibilità di filmare ha rappresentato l’opportunità di registrare la realtà in modo impersonale. Secondo il teorico tedesco, infatti, esistono dei fenomeni così traumatici per la coscienza umana, che coinvolgono e sconvolgono l’individuo troppo da vicino, da compromettere la sua attendibilità. La macchina da presa rappresenterebbe quindi l’unica speranza di obiettività documentaria. Kracauer parla di fenomeni come catastrofi naturali, atti di terrore e violenza, morte e, non a caso, del sesso. L’impulso a guardare ciò che ci sembra impossibile riportare avrebbe quindi a che fare con il sublime: la possibilità di contemplare il precipizio standone prudentemente sull’orlo, sentendosi al sicuro.
Eppure, viene da chiedersi, è possibile che sia solo questo ad attrarci nella pornografia? Il soddisfacimento di una curiosità potenzialmente distruttiva? O forse ciò che ci affascina (e che spiega la sua natura di tabù) è piuttosto la possibilità di essere anche solo tangenzialmente “toccati” da questa distruttività? È possibile che la pornografia contenga in qualche modo lo Stoß heideggeriano, la capacità dell’opera d’arte di creare uno “sconvolgimento” nello spettatore, e per estensione nello status quo, in un’accezione simile a quella della Teoria estetica5 di Adorno, secondo cui l’autentica esperienza estetica sarebbe una forma di potenza del negativo, capace di aprici gli occhi su nuove possibilità? E se si, in cosa risiederebbe questo momento rivoluzionario? A prima vista, si potrebbe dire che il rapporto che intercorre tra la sessualità e la sua rappresentazione cinematografica è lo stesso che intercorre tra qualsiasi fenomeno e la sua rappresentazione. Alcune rappresentazioni sono al servizio dell’ideologia, la rafforzano, occultando la realtà e rassicurando lo spettatore, altre restituiscono la complessità dei fenomeni, o addirittura la aumentano, spingendo “oltre” la nostra percezione. Ma se la pornografia è il prodotto principale delle condizioni materiali in cui siamo immersi, della struttura produttiva di cui facciamo parte, è possibile che sia rintracciabile proprio in essa la possibilità di un suo superamento, della sua sovversione? Questa è la sfida dialettica, che solleva l’annosa questione del perché il capitalismo continui a esercitare un fascino innegabile su di noi. Un fascino ancora più incomprensibile in un’epoca in cui l’efficacia di questo sistema è messa a dura prova e la sua sopravvivenza sembra dipendere dall’adesione incondizionata di coloro che ne fanno sempre più le spese.
In una storica puntata del Maurizio Costanzo Show del 19956, Carmelo Bene sosteneva che mentre l’erotismo riguarda il desiderio di un soggetto per un oggetto, la pornografia annulla questa differenza tra individui: ciò che viene messo in scena è proprio l’o-sceno, ciò che eccede la scena, ciò che non può essere rappresentato, ovvero l’annullamento della soggettività. Non erano parole nuove quelle di Bene, facevano piuttosto eco a quello che più di vent’anni prima affermava Susan Sontag nel suo fondamentale saggio L’immaginazione pornografica (1969)7 in cui osservava che in Histoire d’O, celebre romanzo di Dominque Aury, «il sommo bene è la trascendenza della personalità». Nel libro di Aury, come in tutta la pornografia, si celerebbe il desiderio primordiale della perdita dell’individuazione. Il momento dionisiaco segretamente anelato da ogni soggetto. È quello che del resto il marchese De Sade, come osservavano Adorno e Horkheimer nella Dialettica dell’illuminsimo (1944)8, aveva saputo trasmettere nel modo più atroce e scandaloso per la nostra razionalità nei suoi romanzi, in cui il piacere nasce proprio dall’annullamento letterale, fisico, (“graphic” si direbbe in inglese) di ogni residuo di umanità. La soggettività, l’”anima”, scompare, i corpi non sono che funzionali, vendibili un tanto al kg, sostituibili, scambiabili. Pura carne. Carne, inevitabilmente, da macello. Non a caso è proprio questo il senso del godimento, anche in Lacan, è questa la sua portata orrorifica, scandalosa, oscena: la possibilità che pulsione e pulsione di morte vengano a coincidere. Un insulto alla dignità umana, ma anche, e proprio per questo, una tentazione ineludibile. Una promessa di emancipazione?
Si tende tradizionalmente a identificare l’erotismo come un ambito privilegiato dell’esperienza femminile. Legata più alla letteratura che non all’audiovisivo (regno, come abbiamo visto, del porno), la produzione erotica sembra adattarsi maggiormente alla sessualità femminile che, si dice specie in ambito psicanalitico, dipende più dal linguaggio che non dalla visione. E infatti abbondano nella storia le cosiddette “maestre dell’eros”, da Anaïs Nin fino a E. L. James, autrice delle Cinquanta sfumature che spopolano oggi tra le lettrici. La pornografia sembra invece tipica del male gaze di mulveyana memoria, lo sguardo maschile e maschilista che separa violentemente il corpo della donna, parcellizzandolo e facendolo coincidere con il suo organo sessuale, con i suoi orifizi da riempire, le sue convessità da afferrare. Eppure la possibilità estatica di trascendere l’individuazione non potrebbe essere proprio l’anelito principale di quel soggetto che storicamente è stato identificato con la sua appartenenza a un sesso e un genere sempre “secondo”, per citare de Beauvoir, e in virtù di questa reificato, ipostatizzato, discriminato, sfruttato? L’esperienza sessuale oscena, e la sua rappresentazione, quella che permetta di uscire dalla soggettivazione imposta da secoli di subordinazione, non potrebbe essere riappropriata proprio in virtù della paradossale chance di riunificazione democratica e collettiva? Se la pornografia potesse rappresentare la chiave per decostruire l’identità, la separazione identitaria basata sul genere che il capitale ha prodotto, avremmo identificato un effetto indesiderato, un bug del sistema di cui le donne in primis potrebbero appropriarsi per scardinarlo, e proprio sulla base del visual pleasure.
Elisa Cuter
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PREPORNO TOUR 2024
Pavia, 23/03 – 19/04, presso radio Aut, in via Faruffini 4.
Per chi fosse interessato ad ospitare la mostra, scrivere a info@womedizioni.it.
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NOTE
1) Gertrud Koch “Schattenreich der Körper. Zum pornographischen Kino.”, in Lust und Elend. Das erotische Kino, Luzern, Munich: Bucher Verlag (1981), 16-39.
2) Theodor W. Adorno, Hans Eisler, Komposition fur den Film. Munich: Roger & Bernhard (1969).
3) Federico Zappino (Ed.), Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, Verona: Ombre Corte (2016).
4) Siegfried Kracauer, Teoria del film, Milano: Il Saggiatore, (1962), or. Theory of Film, London/New York: Oxford University Press, (1960).
5) Theodor W. Adorno, Teoria estetica,Torino: Einaudi (1975), or. Ästhetische Theorie, Frankfurt am Mein: Suhrkamp, (1970).
6) Reperibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=zcASGAMxLNw (ultimo accesso 14 marzo 2017)
7) Susan Sontag, Stili di volontà radicale, Milano: Mondadori, (1999), or. Styles of Radical Will, London: Martin Secker& Warburg (1969).
8) Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, Torino: Einaudi (1966), or. Dialektik der Aufklärung, Amsterdam: Querido, (1947).
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OPERE CITATE
ADORNO, T. W., Teoria estetica,Torino: Einaudi (1975), or. Ästhetische Theorie, Frankfurt am Mein: Suhrkamp, (1970).
ADORNO, T. W., EISLER, H., Komposition fur den Film. Munich: Roger & Bernhard (1969).
ADORNO, T.W., HORKHEIMER, Dialettica dell’illuminismo, Torino: Einaudi (1966), or. Dialektik der Aufklärung, Amsterdam: Querido, (1947).
KOCH, G., “Schattenreich der Körper. Zum pornographischen Kino.”, in Lust und Elend. Das erotische Kino, Luzern, Munich: Bucher Verlag (1981), 16-39.
KRACAUER, S., Teoria del film, Milano: Il Saggiatore, (1962), or. Theory of Film, London/New York: Oxford University Press, (1960).
SONTAG, S., Stili di volontà radicale, Milano: Mondadori, (1999), or. Styles of Radical Will, London: Martin Secker& Warburg (1969).
ZAPPINO, F. (Ed.), Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, Verona: Ombre Corte (2016).
AnonimoConfessione di un omossessuale a Émile Zola