Intervista alla casa editrice wom (di marta olivi)
Nel panorama editoriale italiano, si sa, non c’è l’imperativo di stupire e sconcertare, quanto piuttosto la ricerca continua di appagare i lettori, offrendo loro libri confortevoli e in qualche modo affini a ciò che conoscono. Era ovvio dunque che una casa editrice come la WoM, nata nel 2020, attirasse l’attenzione: sin dalla scelta grafica della doppia copertina nascosta, i loro libri chiedono a gran voce di essere scoperti, maneggiati, goduti, con la promessa che il lettore avventuroso sarà ripagato. E infatti la visione editoriale della WoM corre attraverso ogni loro libro: classici fuori edizione, autrici ingiustamente dimenticate, manoscritti anonimi, libri d’arte, favole illustrate, che suscitano modi diversi dal solito di commuoverci, ridere, meravigliarci. Una visione audace, che però, grazie alla “word of mouth” che dà loro il nome, ha già raccolto un folto seguito di lettori che non aspettavano altro che libri in grado di aprire loro finestre diverse sul reale. Non c’è modo migliore, dunque, per comprendere l’entità di questa carica innovativa, che parlare con la redazione stessa di WoM, per dare un’occhiata attraverso il “buco” delle copertine, ed entrare, con coraggio, in un mondo finalmente capace di stupirci.
La WoM Edizioni si concentra moltissimo sull’impressione visiva che danno i propri libri, a partire dalla copertina nascosta, visibile dal “buco” che vi contraddistingue, e che richiede l’azione del lettore per essere svelata; come vi è venuta questa idea della doppia copertina? Che tipo di rapporto con il lettore vorreste che si venisse a creare, con questa scelta?
L’idea è nata proprio per l’attenzione particolare che WoM presta alle immagini e che si può schematicamente riassumere, per comodità di sintesi, in tre punti: in primo luogo l’idea di nascondere dietro una copertina sobria l’immagine visibile solo parzialmente attraverso l’oculo del logo, oltre ad una necessaria forma di sobrietà della copertina monocroma e ad una forma d’eleganza castigata ed essenziale, con una ricerca di sprezzatura alla Coco Chanel, di rimando si rifà anche ad una certa forma di iconoclastia, che si muove in controtendenza rispetto all’ipertrofia delle immagini di copertina utilizzate come reclame. Il secondo aspetto riguarda proprio l’oculo, pensato secondo una forma procedurale di tipo erotica, come il classico «buco della serratura», secondo la procedura Vedo/non-Vedo ben conosciuta dagli stilisti di completini intimi, nonché dalla schopenhaueriana descrizione psichica del desiderio come proiezione del manque, oculo quindi da cui spiare forme di nudità celate o – in riferimento alla celebre scena dell’Asino d’Oro di Apuleio – alla trasformazione teriomorfica della divinità, nel nostro caso dell’immagine stampata in figmentum, in simulacro mentale, come iconodulia e fonte di erotomania psichica. Infine la terza, risponde anche alla domanda sulla gestualità che in qualche modo si impone e vogliamo suggerire al lettore, ossia quella di coinvolgerlo in questa forma di svelamento, quasi che ogni copertina funga, come detto, più che da semplice réclame, da tabernacolo in cui si condensi l’immaginario del volume di riferimento – motivo questo anche che porta WoM ad avere – nella maggior parte dei casi – delle copertine che siano delle elaborazioni o rielaborazioni complete, piuttosto che una forma “museale” di immagini tratte dal repertorio esistente – emblematica in questo senso è ad esempio la copertina del volume di Mark Twain, 3000 anni tra i microbi.
Il colore della copertina esterna, inoltre, cambia a seconda della collana; i Neri, gli Ivory, e i Rosa. Ci parlate un po’ delle vostre collane e dello spirito che anima ciascuna di esse?
Partendo dal presupposto che potenzialmente ogni progetto editoriale si pensa come Unità, la triade delle collane è nata seguendo una suddivisione di tipo contenutistico: ossia i Neri presentano narrativa e saggistica, la cui scelta dei titoli si muove secondo il presupposto cardine della casa editrice (che regge ovviamente anche le altre due collane), ossia l’importanza accordata al Comico quale principio conoscitivo secondo la definizione che ne dà Milan Kundera, ovvero quale terza via della conoscenza, una sorta di Gnosi serpeggiante che elabora l’incertezza e la devianza quale modalità di apprensione della realtà, a scapito della altre due che sono la Scienza e la Filosofia nelle loro più seriose e lineari procedure.
Detto questo, le altre due collane si muovono sempre sullo stesso registro di ricerca. Tuttavia gli Ivory si concentrano sugli albi illustrati e libri d’arte (come il caso di Hokusai), collana che sottolinea ulteriormente l’attenzione di WoM per l’immagine e ne esplicita il significato più profondo, e cioè la concezione dell’immagine quale procedura di lettura e dunque di conoscenza, che anche in questo caso si muove sul labile filo dell’ambiguità, dal momento che, come la Filosofia non ha mai smesso di sottolinearlo, a discapito della Dialettica e della Lingua, le Immagini presentano sempre un maggior margine di possibilità e l’abilità interpretative – si ricordi a questo proposito, ad esempio, l’odio di Platone ne La Repubblica, per tutto ciò che ha a che fare col simulacro. Ed infine la collana dei Rosa si occuperà sempre di narrativa e saggistica, bensì concentrandosi sulla pubblicazione di testi che hanno a che fare col corpo e la sessualità, anche qui mantenendo forte quel legame col Comico, in questo caso però assumendo come fonte di riferimento e di ispirazione la Corporalità che il Comico permette di elevare a sublime materia – in un senso che è stato stupendamente esplicitato dallo studioso Michail Bachtin nel suo studio sull’opera di François Rabelais – autore quest’ultimo per noi sommo maestro, che del resto ha fornito a WoM persino il Motto del suo Emblema.
Specie nella collana dei “Neri”, la WoM per ora ha fatto un egregio lavoro di riscoperta e recupero di testi dimenticati; è il caso di 3000 anni tra i microbi di Mark Twain, disponibile in Italia negli anni ’90 e mai più ristampato, o di Uccidiamo lo zio di Rohan O’Grady, che invece non era mai arrivato in Italia. Ci raccontate la storia di come avete scovato queste “perle” del passato?
Partiamo da Mark Twain, un autore che è sempre stato per tutti i componenti della casa editrice, uno scrittore fondamentale sia per quanto riguarda la sua opera narrativa, che per quella di polemista. Il volume dei 3000 anni tra i microbi è stato scovato dal nostro direttore editoriale, mentre sfogliava l’Opera Completa di Mark Twain curata dalla casa editrice universitaria della California che per prima ha messo mano all’Opus completo di Twain negli anni ’60, preparandone una versione filologica completa. Nell’ultimo tomo della collezione si trovavano proprio i racconti di Twain del suo ultimo periodo – 3000 anni è stato scritto infatti nel 1905 (Twain morirà nel 1910) – e fino ad allora rimasti inediti. Dopo averlo letto ed essersene innamorati ci si accorse della sua assenza nel panorama editoriale italiano ed a quel punto (si parla dell’estate 2019… ben prima che ci si trovasse poi in piena pandemia) si decise di pubblicarlo quale volume d’apertura della collana dei Neri, in quanto quel testo racchiudeva in sé tutte le peculiarità di cui la casa editrice va incontro: una forte impronta Comica, un’assoluta novità a livello stilistico e di ricerca narrativa e inoltre un piglio leopardiano nelle concezioni filosofiche che traspaiono dal testo.
Per quanto riguarda invece il volume di Rohan O’Grady, Uccidiamo lo zio, galeotto fu un’immagine di Edward Gorey, il maestro indiscusso del gothic horror, che disegnò la copertina della prima edizione del 1963 (Let’s Kill Uncle). Da qui la voglia di leggere il romanzo della scrittrice canadese che fu un vero e proprio colpo di fulmine per tutta l’équipe di WoM – romanzo che ci si rese poi conto era stato elogiato da Donna Tartt, riscoperto negli Stati Uniti e in Inghilterra e poi già tradotto anche in spagnolo e in francese e completamente inedito in Italia. Ci sembrava dunque assolutamente fondamentale tradurlo, innanzitutto perché si coniugava recisamente con quella vena di humour nero per noi così fondamentale e poi per l’assoluta freschezza di scrittura, concezione e di spirito divertito.
La collana dei Neri è contraddistinta dalla ricerca non solo di libri dimenticati, ma anche dalla riscoperta di umorismi “diversi”, dissacranti e sardonici, che l’Italia non ha sempre saputo apprezzare e riconoscere. Cosa rappresenta per voi questo tipo di umorismo, che sembra esservi particolarmente caro, e che infatti caratterizza anche il vostro modo di presentarvi sui social e sul vostro sito?
Come accennato in apertura, il Comico è da intendersi nella maniera più ampia e al contempo precisa, ossia non si tratta qui del buffonesco, del satirico, o di altre forme di burla e scherzo, bensì con Comico si intende quella carica precipua che secondo lo scrittore ceco Kundera, è la cifra fondamentale della Letteratura, in quanto forma di conoscenza che la plasticità del suo linguaggio rende per sua stessa natura difficilmente sottilizzabile. Inoltre, il Comico non è “ciò che fa ridere”, è un punto di vista glaciale sulla realtà: comico, in questo senso, è Kafka, Leopardi, Baudelaire, Cioran, l’Ecclesiaste, Sterne, Pascal… comico è tutto quanto si oppone al tragico, tutto quanto non permette una fuga catartica, od una risoluzione lineare e logica della realtà e di una sua chiusura in un sistema sia esso scientifico o filosofico, ma implica una certa forma di glaciale lucidità e di ofidica intelligenza:
«COMICO. Offrendoci la bella illusione della grandezza umana, il tragico ci offre una consolazione. Il comico è più crudele: ci rivela brutalmente l’insignificanza di tutto.»
Milan Kundera, L’Art du Roman, Gallimard, Paris, p. 150
Tornando allo scopo “ingaggiante” che ha il buco della copertina, non ho potuto non notare che viene perseguito anche altrove: da lettrice, è chiaro che uno dei capisaldi della WoM è proprio la ricerca del contatto, del rapporto con il lettore. Questo rapporto prende spesso una forma ludica in cui la personalità della casa editrice contribuisce a intensificare e mettere in evidenza quella dei libri stessi: si crea così una specie di “cornice narrativa” editoriale, che passa attraverso la cura dell’oggetto-libro, ma anche attraverso i geniali gadget che li accompagnano. Che ruolo ha dunque, secondo voi, la casa editrice nei confronti di ciascun libro che pubblica? In che modo l’oggetto-libro e un certo progetto editoriale ben congegnato può cambiare, plasmare, e intensificare l’identità della storia racchiusa in esso?
Per rispondere a questa domanda, proviamo a partire dalla visione che il più grande editore vivente – ossia Roberto Calasso – ha dato del lavoro editoriale: ovvero quello di considerare i volumi e quanto pubblicato da una casa editrice (quanto meno quando essa segue un certo filo d’Arianna) come i capitoli di un unico libro che si dipana simile ad una lunga serpe variopinta. Senza nulla togliere alla pertinenza di un simile “progetto”, l’idea che sta dietro WoM è invece quella di considerare la casa editrice stessa come parte di un racconto, i volumi pubblicati, la stessa esistenza della casa editrice, fanno in realtà tutti parte di una immensa finzione (per dir così), in cui come i libri, gli autori, i traduttori e noi stessi, siamo i semplici personaggi della grande farsa falstaffiana che è la vita: per questo motivo la “realtà” biografica degli stessi componenti dello Staff (come si può vedere nel sito della casa editrice) fa parte a sua volta di un gioco narrativo. Ragion per cui, tutto ciò che si affianca ai volumi pubblicati, gli Omega e gli altri Extra che accompagnano i volumi, fanno parte di una sorta di escrescenza che permette di ampliare a zone apparentemente inattese la realtà narrativa della casa editrice. Per fare un esempio concreto – in accompagnamento al volume di Rohan O’Grady, si è creato un falso giornale, il The New WoM Times, in cui si è presentato il volume, sono offerte informazioni extra sull’autore, su quanto la critica straniera ne ha scritto, e così via, il tutto inserito all’interno di questo simulacro di giornale, che oltre a rispondere alla copertina del volume – anch’essa costruita con una modalità da Prima Pagina di giornale –, permette anche al libro, ai suoi personaggi ed alla casa editrice stessa, di propagarsi fuori dai suoi confini prettamente editoriali. E questo accompagnamento “extra” ai volumi non è una semplice réclame o uno spudorato lancio editoriale, ma fa proprio parte di quel gioco narrativo – quella finzione della realtà – di cui dicevo. In sostanza, tanto più la finzione narrativa invade qualsiasi spazio della casa editrice, del suo mondo e del mondo in generale in cui essa penetra e ne tesse la trama, tanto più la realtà può mostrare i suoi tic, le sue arbitrarietà, i suoi bluff.
Tra i molti gadget che avete ideato, c’è anche una piccola collana, gli Omega: brevi racconti o pamphlet rilegati con un punto Omega, il quale consente al lettore di usarli in modo diversissimo, dall’appenderli in giro per casa fino anche al collezionarli per raccoglierli tutti insieme. La vostra fiducia nel rapporto con l’elemento lettore è arrivata anche al punto di aprire un contest di microfictions per creare un Omega che fosse un’antologia delle migliori opere dei lettori, selezionate dal voto degli utenti. A questo punto, non posso non chiedervi: come vi immaginate il vostro “lettore modello”, per citare Umberto Eco, se si può utilizzare tale definizione per una casa editrice?
Riguardo al contest dei microracconti vi è certo una fiducia parziale nel lettore a cui si lascia un buon margine di decisione (vi sarà comunque anche una Giuria interna alla casa editrice i cui voti avranno un certo peso) nella valutazione degli scritti, ma l’idea fondamentale che sta dietro i Microracconti è, dal punto di vista dello scrittore, il gioco-limite di dover essere in grado di condensare nel minor numero ragionevole di battute, un massimo di capacità narrativa – il che paradossalmente è di certo il lavoro più complesso, in questo sobillati dall’estremo scherzo di Hemingway che scrisse un racconto di sole sei parole. Mentre dal punto di vista dell’editore, vi è una certa idea che una boutade di Queneau riassume, quando afferma che per capire se un libro vale davvero qualcosa basta scorrerne dieci-quindici righe prese in un punto qualsiasi del volume – boutade che se certo esagera un po’ per il gusto del paradosso, tuttavia non si allontana dalla realtà e ciascuno può farne la prova prendendo un romanzo di Flaubert, di Gadda, Balzac, Dostoevskij o un racconto di Luciano di Samosata e si accorgerà che da qualsiasi punto inizi a leggere, dopo dieci-quindici righe si troverà fatalmente invischiato e rapito dal testo.Per quanto riguarda invece il “lettore ideale”, è impossibile darne una definizione, che in sostanza si ridurrebbe a fornire una lista di aggettivi qualificativi, tra quelli più ovvi: curiosità, attenzione, capacità di discernere il bello dal banale, ecc. – tuttavia, forse il modello del lettore ideale di WoM è una pletora di individui che a loro stessa insaputa e per il tramite di quegli amuleti che sono i libri costituiscono una società segreta, il cui sigillo unificante è il piacere della lettura, una curiosità ossessiva ed un infinito scherno per tutto ciò che è grave, serio, austero. Un popolo di invisibili i cui gusti non corrispondono mai a quelli dei mercanti, dei professori, degli accademici, dei capipopolo, neppure a quelli degli editori stessi, e vivono di solitudini incerte, stando spesso in un cantuccio, all’ombra della propria lampada, assorti nel silenzio e in ascolto della cantilena della propria lettura, mentre fuori la classe dei mercanti e dei guerrieri, degli arrivisti e dei capibanda, degli strilloni e degli arruffapopoli, fabbricatori di best-seller, si scannano e si divorano gli uni con gli altri, all’ombra del tempo sospeso da un punto e a capo.
Come ultima domanda, vi chiederei qualche anticipazione; quali saranno le prossime uscite? Cosa riserva il futuro alla WoM?
La prossima uscita, prevista per settembre, sarà il volume d’apertura della collana dei Rosa. Si tratta di un’opera molto particolare, Le Confessioni di un Omosessuale a Émile Zola. È una lunga lettera-confessione scritta da un Anonimo italiano in francese e indirizzata a Zola negli ultimi anni dell’800, con la quale l’autore avrebbe voluto ispirare lo scrittore francese, autore all’epoca rinomato per la sua opera nonché per la sua tecnica narrativa «il romanzo sperimentale» che si basava spesso su “studio di casi umani” o “sociologici”, per la creazione di un romanzo che avesse come protagonista un omosessuale appunto. Questa lettera, per ragioni che verranno spiegate in una nota editoriale, subirà altre e diverse sorti e giunge dunque fino a noi e viene tradotta per la prima volta in italiano, come una meteora da un universo parallelo, quale documento straordinario sulla condizione ed il coraggio dell’autore nel confessarsi e nel presentare la sua omosessualità con un piglio scandalosamente sincero, in un periodo in cui l’omosessualità era considerata un crimine, penalmente perseguibile, un po’ in tutta l’Europa. Difatti parliamo proprio degli anni in cui si tenne il processo a Oscar Wilde in Inghilterra e in cui nella Confessione del resto si farà diverse volte allusione.
Poi una piccola anticipazione, l’uscita successiva sarà un romanzo – uno di quei classici dimenticati di cui WoM va in cerca – dell’autore forse più enigmatico del ‘900, pubblicato in tutto il mondo e scandalosamente quasi assente in Italia, ovvero B. Traven, autore di culto per scrittori come William Burroughs, ad esempio. Pubblicheremo La rivolta degli appesi, un romanzo ambientato negli anni ’20 in Messico, ma che, ahinoi, ha degli echi ancora del tutto attuali, particolarmente riguardo alla condizione dei braccianti – quale forma di schiavismo semi-tollerato nella nostra società – e che si spera possa servire oltre al piacere della lettura, anche a risvegliare un certo sentimento di giusta e indignata rivolta.
Intervista a cura di Marta Olivi
Si ringrazia Matteo Pinna e Debora Barattin di WoM Edizioni
Fonte: criticaletteraria.org